Avv. Carlo Marchesini
In caso di tardiva restituzione di un bene mobile o immobile, il concedente/proprietario è legittimato a richiedere i danni c.d. da mancato godimento.
Lo stesso è qualificato – secondo l’orientamento prevalente – come “lesione della facoltà di godimento” in quanto tale (valore d’uso).
Qualora l’obbligo di consegna non si ricolleghi alla fase patologica dell’esecuzione di un contratto (es. affitto, locazione, comodato), il danno da mancato godimento si configura quale illecito extracontrattuale e si fonda sulla sua atipicità (pensiamo al tardivo rilascio di un immobile a seguito di decreto di trasferimento, c.f.r. Cass. civ. S.U. n. 500 del 22-07-1999, vedi anche Cass. 23.2.2010, n. 4326 e Cass. 29.1.2010, n. 2122).
Comparazione e valutazione che, è bene precisarlo, non sono rimesse alla discrezionalità del giudice, ma che vanno condotte alla stregua del diritto positivo, al fine di accertare se, e con quale consistenza ed intensità, l’ordinamento assicura tutela all’interesse del danneggiato, con disposizioni specifiche (così risolvendo in radice il conflitto, come avviene nel caso di interesse protetto nella forma del diritto soggettivo, soprattutto quando si tratta di diritti costituzionalmente garantiti o di diritti della personalità), ovvero comunque lo prende in considerazione sotto altri profili (diversi dalla tutela risarcitoria), manifestando così una esigenza di protezione (nel qual caso la composizione del conflitto con il contrapposto interesse è affidata alla decisione del giudice, che dovrà stabilire se si è verificata una rottura del “giusto” equilibrio intersoggettivo, e provvedere a ristabilirlo mediante il risarcimento).
(Cass. civ. S.U. n. 500 del 22-07-1999)
La figura di danno in parola è disegnata e delimitata da due parametri:
- il tempo, cioè la durata dell’impedimento al godimento;
- il valore, cioè il canone locatizio mensile quale corrispettivo del godimento del bene. Per convenzione unanimamente accettata è questo il criterio di quantificazione.
Il danno da mancato godimento ha poi le seguenti caratteristiche:
- può essere diretto o indiretto, derivare cioè dal mancato godimento diretto del bene stesso, da parte del titolare; oppure originato dalla mancata percezione dei frutti civili. Sia nell’uno che nell’altro caso il criterio liquidatorio si sublima sempre nel canone di locazione mensile: figurativo nel primo caso; proprio quello nel secondo;
- può essere totale o parziale; nel secondo caso il corrispettivo del canone di locazione potrà essere frazionato;
- è “minimo”; vale a dire che, se non ci sono altri tipi di danni, questo è il pregiudizio minimo che deriva dall’aver impedito al proprietario di godere, direttamente o indirettamente, del proprio bene.
- è un “danno esclusivamente patrimoniale”. Essendo privo di copertura costituzionale o di espressa previsione legislativa, il risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali non è possibile. Nessun rilievo hanno i ricordi affettivi o nostalgini del bene. Si pongono fuori dall’area risarcitoria. Può semmai ipotizzarsi la componente del c.d. danno morale qualora, nel caso concreto, vi sia l’integrazione di una fattispecie penale (es. art. 633 c.p. invasione di terreni o edifici).
- è “conseguenziale”, quindi non eventista o in re ipsa. Il pregiudizio risarcibile non è dato dalla lesione della situazione giuridica ma dal “c.d. danno conseguenza derivante dall’evento di danno corrispondente a detta lesione”. Sul punto la giurisprudenza della suprema Corte nomofilattica, da ultimo con le sentenze Cass. S.U. 33645 e 33659 del 15/11/2022, ha ribadito un trend ormai risalente: avendo la responsabilità civile una funzione ripristinatoria e non assistenziale, il risarcimento non può essere concesso quale pena privata per un comportamento illecito né può rivestire una funziona punitiva;
- Il danno conseguenza, l’unico risarcibile, “deve essere inferito da circostanze allegate ed in grado di dimostrare il nesso di causalità giuridica tra il danno evento ed il pregiudizio derivatone”;
- Deve essere quindi prima di tutto allegata dall’attore concedente/proprietario l’”intenzione concreta di mettere a frutto il bene”. Ciò può essere fatto attraverso una descrizione, anche sommaria, dell’età del bene, dello stato di usura, della sua collocazione, della regolarità edilizia ed impiantistica per quanto riguarda gli immobili.
- Inoltre deve essere dimostrata dall’attore la “lesione della facoltà di godimento”, anche attraverso il ricorso a presunzioni semplici secondo l’id quod plerumque accidit.
- Si tratta però di una presunzione semplice che ammette prova contraria. Non di un danno in re ipsa come chiarito.
- La diversa domanda dell’attore volta al risarcimento del danno per “successivo contratto di locazione ad un importo meno vantaggioso” è gravata:
- sempre dall’attività di allegazione (es. attività di ristrutturazione e manutenzione appena eseguite, particolare qualità, pregio, rarità del bene, ecc.);
- questa volta della piena prova (tutte le dichiarazioni attoree devono essere dimostrate e non si possono presumere). Infatti, questa domanda, per come formulata, costituisce una pretesa di lucro cessante: ” …nel quale confluiscono le ipotesi di mancato guadagno (occasioni perse di vendita o di locazione a condizione economiche più favorevoli)”.
Il convenuto, a sua volta, sia nell’uno che nell’altro caso, per neutralizzare la pretesa risarcitoria attorea può comunque eccepire la “anomala infruttuosità del bene”.
Ciò può essere fatto indicando sotto quali aspetti il ritardato trasferimento e la ritardata restituzione del bene non ha in realtà prodotto alcun danno conseguenziale (perché il bene ad esempio era abbandonato, ammalorato o viziato, oppure abusivo dal punto di vista edilizio o comunque mancante del certificato di agibilità, nel caso di immobili).
In quest’ultima ipotesi, poi, bisogna ulteriormente distinguere il caso in cui la stessa agibilità sia astrattamente rilasciabile dalla PA – ed allora non si da luogo ad alcuna conseguenza risarcitoria, trattandosi di mera irregolarità -, dai casi in cui invece questa possibilità non sussiste a monte (perché l’immobile è ad esempio abusivo o perché non ha, e non potrà avere, la agibilità per un particolare utilizzo, a prescindere da un eventuale condono).
La contestazione al riguardo non può essere generica, ma deve essere specifica ai sensi dell’art. 115 c.p.c., comma 1.
In questo caso, l’attore ha l’onere di dare piena prova del fatto contestato dal convenuto o allegare il fatto secondario da cui inferire con assoluta certezza il fatto costitutivo rappresentato dalla possibilità di godimento persa.
In mancanza, opera pienamente la regola di giudizio di cui art. 2697 c.c.