Avv. Carlo Marchesini
(Trib. Milano 19/12/2019 in composizione collegiale)
Questa sentenza del Tribunale di Milano da l’occasione per ribadire la “potenza” della regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c.: “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.
La pronuncia in parola si occupa di illegittima segnalazione alla Centrale Rischi in Banca di Italia e presso la Crif.
La Banca aveva segnalato come cattivo pagatore un’azienda alla quale era stato revocato ex abrubto il fido per €75.000,00 a causa di asseriti ritardati pagamenti (3 mensilità) in riferimento ad un piano di rimodulazione e rientro di circa €800,00 euro mensili.
In Giudice delle prime cure, in sede di ricorso ex art. 700 c.p.c., aveva rigettato la richiesta di cancellazione della segnalazione a sofferenza in quanto:
1) sussisteva sì astrattamente l’interesse della ricorrente ad ottenere la cancellazione retroattiva, in tesi illegittima, della appostazione a sofferenza per l’unico mese mese in cui si era verificata: marzo 2019;
2) tuttavia non sussisteva il “periculum in mora”, poiché l’impresa ricorrente “non aveva fornito alcun riscontro riguardo a tale profilo, limitandosi ad allegare la probabile preclusione nella fruizione dei rapporti bancari in corso e dell’ulteriore accesso al credito”;
3) e non sussisteva neanche il “fumus boni iuris” a causa della risalente “esposizione debitoria, del carattere reiterato dello sconfinamento, in uno alla circostanza che l’iniziativa della ricorrente (volta a ripianare in forma integrale la situazione debitoria) [€10.446,50 n.r.d.] si collocava in epoca posteriore all’operata segnalazione”.
Di avviso completamente opposto il Collegio adito in sede di reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. che invece rilevava come “le segnalazioni in Centrale rischi e in generale presso le banche dati finanziarie costituiscono per gli intermediari degli obblighi, di legge o convenzionali, accessori rispetto al contratto di affidamento concluso con il cliente”. Ribadita quindi la natura accessoria del corretto censimento della posizione debitoria del Cliente, tale obbligo rientrava nell’ambito delle obbligazioni derivanti da contatto sociale, quindi regolato dalla disciplina della responsabilità contrattuale.
Così ricostruito l’obbligo dell’intermediario, scattano a cascata gli oneri probatori secondo l’orientamento tradizionale: “in caso di contestazione da parte del cliente spetta all’intermediario l’onere di provare di aver correttamente adempiuto ai propri obblighi (cfr. Cass. SU 13533/2001 e con specifico riferimento alla materia Cass. 25512/2017).
Ora, secondo le Istruzioni emanate dalla Banca d’Italia con la circolare n. 139/1991 e succ. aggiornamenti. “L’appostazione a sofferenza implica una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest’ultimo nel pagamento del debito. La contestazione del credito non è di per sé condizione sufficiente.”
Nel caso di specie, dall’esame dei documenti prodotti e anche alla luce delle difese svolte, risultava all’opposto che la Banca aveva fondato la sua decisione proprio sui meri ritardi della società reclamante rispetto al citato piano di azzeramento del fido.
Non era stato dimostrato e neanche allegato, che la banca avesse operato la valutazione della complessiva situazione finanziaria della società e fosse così pervenuta ad un motivato giudizio di para-insolvenza.
Nessuna indicazione, infatti, era stata fornita sull’andamento economico della società, sui suoi bilanci dell’ultimo triennio, sul suo patrimonio netto, sui risultati di esercizio e sulle eventuali riserve. Nemmeno erano state dedotte altre circostanze sintomatiche, quali le segnalazioni operate da altri intermediari, o la presenza di protesti, sequestri conservativi, ipoteche giudiziali o pignoramenti.
Il mero ritardo aveva assunto le fattezze del disallineamento tra scadenza delle rate e rimesse in conto corrente per adempierle che, a sua volta, trovava la propria origine nella illegittima disattivazione, da parte della Banca, del servizio di home banking.
Ciò aveva comportato che il saldo di conto non fosse conoscibile in tempo reale e comunque alle scadenze mensili del piano, ma solo a chiusura del trimestre.
La movimentazione sul conto era notevole (pagamenti ai e dai fornitori, oneri tributari, rimborsi dell’Agenzia delle Entrate, rimesse da diverso conto attivo su altro istituto di credito i riaccrediti della stessa Banca a causa di accertate pratiche anatocistiche accertate con sentenza dell’Arbitro Bancario e Finanziario di Roma intervenuta medio tempore).
Tutto questo aveva comportato un costante lievissimo disallineamento tra scadenza delle rate e rimesse in conto per adempierle; a volte addirittura “al buio” quando tali rimesse erano infratrimestrali.
In conclusione, nella parte dispositiva il Collegio ha accolto integralmente la domanda dell’azienda, riqualificandola come “rettifica”, e condannando l’Istituto di credito alle spese di giudizio della doppia fase, avendo lo stesso fallito l’onere della prova su di esso incombente.
La decisione in commento è in linea con le precisazioni in punto probatorio chiarite da ultimo da Cass. Sez. Un. n. 11748 del 3/5/2019.
Tale importante decisione ha reputato necessario distinguere il caso dell’inadempimento da quello dell’inesatto adempimento.
La prova dell’inadempimento tout court si risolve, di regola, nella prova di un fatto negativo (il mancato adempimento); essa è, per il creditore, certamente meno agevole rispetto alla prova dell’adempimento che grava sul debitore (così anche il principio di vicinanza della prova).
La prova dell’inesatto adempimento, al contrario, consiste nella prova di un fatto positivo diverso da quello atteso dal creditore e grava su di lui: “si tratta di una situazione più articolata e più difficilmente inquadrabile in schemi rigidamente predeterminati, potendo risultare necessario procedere ad una verifica concreta, nelle diverse tipologie di controversie, su quale sia la fonte di prova che meglio può offrire la dimostrazione dell’inesattezza dell’adempimento e su quale sia la parte che più agevolmente può accedere a tale fonte” Cass. Sez. Un., sent. n. 11748 del 3/5/2019).
Applicando questi principi al caso che ci occupa, la Banca è stata (totalmente) inadempiente al diritto/dovere di procedere ad un segnalazione a “sofferenza” solo e soltanto qualora ricorra una situazione di para-insolvenza del cliente.
Questa conclusione presuppone la “identica rilevanza”, in punto di ripartizione dell’onere della prova ex art. 2697 c.c., tra obbligazioni “principali” ed “accessorie”.
In generale si può avere un inadempimento assoluto rispetto ad un’obbligazione principale, ma anche un inesatto adempimento rispetto ad un’obbligazione accessoria e viceversa.
Le questioni sono perfettamente intercambliabili ed anche cumulabili.
Quindi tornando al tema che ci occupa, potremmo avere anche un inadempimento assoluto ad una obbligazione principale (es. ropture brutale dell’affidamento contraria ai principi di correttezza, buona fede ed affidamento; nel caso esaminato dalla sentenza del Tribunale di Milano si era verificato anche questa circostanza) che può cumularsi, o meno, con un inesatto adempimento ad una o più obbligazioni accessorie (es. segnalazione a sofferenza per una cifra maggiore rispetto a quella effettivamente dovuta).
Tutti questi concetti si possono poi ulteriormente colorare rispetto all’attributo della gravità ai sensi degli artt. 1218 e 1453 c.c. al fine di recuperare il necessario momento discrezionale-valutativo da parte dell’interprete.
Infine, oggetto di riforma da parte del Collegio è anche la statuizione del Giudice delle prime cure in punto di prova del periculum in mora.
Aderendo all’orientamento maggioritario circa la funzione anticipatoria della tutela cautelare d’urgenza innominata, il Tribunale di Milano ha ribadito che la prova è in re ipsa perché notorio è per gli imprenditori la rilevanza delle registrazioni nelle centrali di informazioni finanziarie: “In particolare una segnalazione a sofferenza, secondo quanto avviene normalmente, implica una valutazione sfavorevole da parte degli intermediari, sia in ordine alla concessione di nuovi fidi che per il mantenimento di quelli in essere e ciò costituisce un ostacolo insormontabile per il proseguimento dell’attività aziendale. Al riguardo l’art. 700 c.p.c. prevede una tutela anticipata, perché non richiede che il danno si sia già verificato, ma consente di provvedere in caso di minaccia di un pregiudizio imminente e irreparabile. Nel caso di specie, in difetto di qualsiasi prova in senso contrario, opera la presunzione di cui sopra, di modo che sussiste anche il requisito del periculum”.