Dott. Antonio Zappia
Cassazione, Terza Sezione Civile, Sentenza del 15/9/2020, n. 19186.
Fino a che punto possono giungere le facoltà del Giudice di appello di conoscere e qualificare i fatti della controversia?
Risposte immediate vengono dai principi della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (art. 112 cod. proc. civ.) e di devoluzione parziale dell’appello, per i quali il Giudice a quo deve decidere su quanto gli viene domandato dalle parti e solo sull’oggetto delle specifiche censure.
All’interno di questi confini opera il principio iura novit curia, che impone al giudice di decidere secondo diritto, anche applicando norme diverse rispetto a quelle richiamate dalle parti.
1. La questione
La sentenza in oggetto esamina la questione della riqualificazione giuridica in appello del tipo di responsabilità fatta valere. Nel caso di specie, l’attore aveva chiesto in primo grado la condanna del convenuto a titolo di responsabilità extracontrattuale (ex artt. 2043 e 2049 cod. civ.) e aveva poi impugnato la relativa sentenza, invocando la responsabilità da contratto (ex art. 1218 cod. civ.).
La Cassazione in esame chiarisce che rientra sicuramente nelle competenze del giudice, anche di ufficio, a prescindere dal nomen juris impiegato dalle parti, il potere di qualificare le fattispecie dedotte con gli istituti giuridici più idonei. Incluso il giudice di appello, purché sia stato rimesso in discussione, tramite specifica impugnazione, il capo della sentenza corrispondente.
Cosa succede però se, come nel caso di specie, la parte chiede per la prima volta in appello l’accertamento di un tipo di responsabilità diverso in capo alla controparte?
Il tema è quello della domanda nuova, improponibile in appello ai sensi dell’art. 345 cod. proc. civ.
Il vaglio di ammissibilità è incentrato sulla conservazione o il mutamento dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio. Nel secondo caso saremmo di fronte ad una domanda nuova. Sarebbe introdotto un nuovo tema di indagine e di decisione nel giudizio, alterando l’oggetto della controversia in uno dei suoi elementi essenziali: termini soggettivi, causa petendi, petitum.
Partendo da questo approdo comune, si sono sviluppati due orientamenti giurisprudenziali divergenti, anche in sede di legittimità.
2. Le interpretazioni in materia
Secondo il primo analizzato dalla Corte, il mutamento del titolo di responsabilità, extracontrattuale – contrattuale, sarebbe rigorosamente classificabile come modifica della causa petendi. Ciò in considerazione del fatto che, per i diritti eterodeterminati, il titolo vantato costituisce elemento essenziale del contenuto della citazione (art. 163, comma 3, n. 4, cod. proc. civ.). È da considerarsi domanda nuova quella che alteri qualsiasi presupposto della domanda iniziale, sia nel petitum che nella causa petendi. Pertanto, anche qualora la formulazione della richiesta di ristoro del danno rimanesse invariata, ci troveremmo comunque di fronte ad una vera e propria mutatio libelli, certamente inammissibile in appello.
Il secondo orientamento propende, invece, per una definizione del contenuto essenziale della domanda in senso maggiormente unitario e strumentale al tema in discussione. Non costituiscono alterazioni decisive a far parlare di domanda nuova, ai fini che ci occupano, quelle che lasciano inalterato l’oggetto del giudizio. Fintanto che permane l’interesse del soggetto al medesimo bene della vita (situazione giuridica ante judicium) e al ristoro dell’utilità perduta (provvedimento che si richiede al giudice), gli effetti probatori legati all’individuazione del titolo non interferiscono con l’identità dell’oggetto del giudizio.
3. Il <<nucleo essenziale>>
La sentenza in esame mostra di aderire alle ragioni di quest’ultimo indirizzo, con una precisazione fondamentale. Il criterio funzionale, per cui non è domanda nuova quella che non altera il petitum sostanziale, non può comunque prescindere dai fatti materiali allegati dalle parti.
Il <<nucleo essenziale>> della domanda è costituito dalla richiesta di tutela del bene della vita e dai fatti storico-materiali allegati dalle parti con gli atti introduttivi del giudizio di primo grado, o comunque entro le tempistiche di cui all’art. 183 cod. proc. civ.
Il potere qualificatorio e decisorio del giudice si esercita entro i limiti della fattispecie concreta descritta dalle parti. Il quadro fattuale e, in particolare, la condotta asseritamente lesiva si consolidano con le progressive scadenze indicate dalle norme procedurali in primo grado. Ciò tanto per l’esigenza di equilibrio tra accusa e difesa, quanto per quelle di certezza e ragionevole durata del processo.
Pertanto, non vi è preclusione alcuna per il giudice di appello a qualificare il titolo di responsabilità (da extracontrattuale a contrattuale, e viceversa), anche di ufficio (ai sensi dell’art. 113 cod. proc. civ.), quando tale tema rientri nell’oggetto di impugnazione e si basi su fatti storici allegati tempestivamente dalle parti nel giudizio di primo grado. Il motivo di appello in tal senso, anche se basato su una causa petendi diversa, ma avente ad oggetto il medesimo petitum ed i medesimi fatti storici, è ammissibile e non costituisce domanda nuova.
Se, contrariamente, con la censura si chiede al giudice di valorizzare fatti ulteriori rispetto a quelli dedotti ritualmente in primo grado, tale domanda andrà incontro al divieto di cui all’art. 345 cod. proc. civ.
4. Conclusioni
Con questa sentenza, la sezione terza della Corte di Cassazione ha dimostrato di preferire all’impostazione più dogmaticamente scrupolosa, maggiormente attenta all’esattezza sistematica di tipo manualistico, un criterio maggiormente funzionale, per cui le norme che regolano il processo sono strumentali al conseguimento del bene della vita.
Tuttavia, non si è appiattita su tale indirizzo, ma ha aggiunto un proprio contributo correttivo. Ha fissato a elementi concreti e certi (i fatti materiali allegati in primo grado) il limite per prevenire un’estremizzazione della rilevanza esclusiva della finalità perseguita dall’istante. In caso contrario, osserva la Corte, verrebbe svilito il ruolo identificativo della causa petendi nei diritti eterodeterminati, relegando la qualificazione delle fattispecie nel campo dell’attività di ufficio del giudice e sottraendola al potere dispositivo delle parti.
5. La decisione
Applicando questi principi al caso di specie, il giudice di legittimità nota come l’attore, all’interno della impugnazione con richiesta di condanna del convenuto per responsabilità contrattuale, abbia anche introdotto un fatto nuovo, adducendo l’esistenza di un contratto avente soggetti ed estremi diversi rispetto agli atti di primo grado. Ciò costituiva una domanda nuova, per l’essere basata su di un fatto inedito, che la Corte di Appello competente doveva dichiarare inammissibile.