Dott. Antonio Zappia
Cass., Sez. un., sent. n. 2437 del 18/12/2008, dep. 21/1/2009
La disciplina del consenso informato in ambito sanitario è stata recentemente riformata con la legge n. 219 del 2017, nota soprattutto per avere introdotto nel nostro ordinamento le disposizioni anticipate di trattamento (DAT).
I primi articoli della legge 219/2017 delineano il consenso informato del paziente come requisito necessario per l’inizio del trattamento. In base al secondo comma dell’art. 32 Cost., nessun trattamento sanitario può essere imposto se non nei casi previsti dalla legge.
Fuori dei casi espressamente previsti, vige dunque l’obbligo di una completa, adeguata ed aggiornata informazione al paziente sul proprio stato di salute, i trattamenti raccomandati (compresi quelli diagnostici), le alternative terapeutiche, i relativi rischi e le conseguenze del rifiuto del consenso. I pazienti hanno inoltre il diritto di revocare il consenso già prestato.
Cosa avviene, in materia penale, quando queste prescrizioni non vengono rispettate?
La sentenza in esame si è occupata di un caso in cui il consenso era stato validamente prestato per un intervento, durante lo svolgimento del quale il chirurgo aveva constatato la presenza di un tumore insistente su una tuba uterina. Aveva provveduto allora ad asportare l’organo anzidetto, così realizzando un’operazione, da un lato, tecnicamente corretta e riuscita ma, dall’altro, sprovvista del consenso della paziente. Il conflitto si è dunque posto tra il diritto soggettivo del paziente a decidere della propria salute e l’intervento del medico ad oggettiva salvaguardia della vita della persona.
La Cassazione, a Sezioni unite, si è pronunciata affermando che la sola esecuzione dell’intervento, in assenza di consenso informato, non è sufficiente ad integrare alcuna fattispecie di reato; respingendo quella tesi per la quale la base di liceità dell’attività medica sarebbe solo il consenso dell’avente diritto, ai sensi dell’art. 50 c.p., e ribadendo al contrario che le professioni sanitarie godono di copertura legale e, soprattutto, costituzionale, che le rende inconfondibili, in astratto, con il fatto tipico di reato.
Pertanto, pur riconoscendo l’esistenza del diritto del paziente a decidere della propria salute, stabilendo autonomamente le proprie priorità, la Corte conclude preliminarmente che tale diritto soggettivo non può, tuttavia, superare il principio di stretta legalità che domina la funzione incriminatrice del diritto penale (art. 25, comma 2, Cost.).
L’attenzione dovrà essere posta allora tanto sull’elemento soggettivo dei reati (ad es. nelle fattispecie dolose andrà verificata la compatibilità della finalità terapeutica con il dolo richiesto dalla norma), quanto sull’elemento oggettivo.
In questo quadro, i Giudici analizzano anche il concetto di ‘malattia’, con riferimento all’evento costitutivo del reato di lesioni personali. Rispetto ad una prima giurisprudenza che faceva affidamento al criterio convenzionale empirico di qualsiasi alterazione anatomica, la sentenza in oggetto condivide l’indirizzo giurisprudenziale più recente e più coerente al campo scientifico-medico di riferimento, che definisce ‘malattia’ il fenomeno evolutivo che interferisce con il funzionamento dell’organismo, durante un periodo determinato o meno; cioè un’alterazione non più meramente anatomica, bensì funzionale.
Non si prospetta alcun illecito penale quando l’operazione, diversa ed ulteriore a quella per cui è stato prestato il consenso, abbia avuto esito fausto tale da apportare un miglioramento apprezzabile della salute del paziente, anche in considerazione delle alternative terapeutiche praticabili, purché non in contrasto con l’espressa ed inequivoca volontà del paziente.
Infatti l’intervento terapeutico fruttuoso del medico non sarebbe causa di alcuna malattia, bensì rimedio. Non ci sarebbe infatti un’alterazione o diminuzione funzionale rispetto alla situazione esistente.
L’elemento chiave è quello del miglioramento apprezzabile, che postula un’uniformità di vedute sull’effetto benefico, ex ante,dell’azione.
È vero che resta possibile che l’intervento del medico provochi ripercussioni negative successive sul paziente (di natura fisica o psicologica), ma queste andranno valutate, caso per caso, secondo i normali parametri di ascrivibilità e colpa.