Avv. Carlo Marchesini
(Cass. 11/6/2019 n. 15598 in www.Ilforoitaliano.it)
L’art. 166 del Codice delle Assicurazioni private stabilisce testualmente: “1. Il contratto e ogni altro documento consegnato dall’impresa al contraente va redatto in modo chiaro ed esauriente. 2. Le clausole che indicano decadenze, nullità o limitazione delle garanzie ovvero oneri a carico del contraente o dell’assicurato sono riportate mediante caratteri di particolare evidenza”.
Questa disposizione non configura una nuova ipotesi di clausola vessatoria che necessità di apposita approvazione scritta ex art. 1341 c.c. II° co, neanche ai sensi delle disposizioni del Codice del Consumo (artt. 45-51 del Dlgs 6.9.2005 n. 206. Codice del consumo).
Non ha neanche alcuna inferenza sul piano della validità o sull’efficacia del contratto assicurativo ex art. 1418 e 1419 c.c.
La norma in parola opera sul piano della delimitazione dell’oggetto della copertura assicurativa e dell’art. 1341 I° co. c.c. “Le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell’altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza”.
L’art. 166 Codice delle Assicurazioni è una esplicitazione (norma speciale) delle clausole generali di buona fede, correttezza e lealtà (artt. 1175 e1375 c.c.) che impinge sulla conoscibilità e chiarezza del testo contrattuale riferito ad una determinato ramo o classe omogeneo di rischio per il quale l’assicurato ha prestato il suo consenso. Può incidere indifferentemente sulla volontà del contraente sia a livello precontrattuale che contrattuale.
Con presunzione legale iuris tantum il legislatore ha stabilito che una limitazione della garanzia o l’apposizione di oneri a carico del contraente, qualora risulti riportata mediante caratteri di particolari evidenza, soddisfa quei requisiti di chiarezza e conoscibilità. In questo caso, la prova diabolica di una clausola contrattuale che in realtà non soddisfa questi ultimi requisiti (secondo i criteri ermeneutici legali di interpretazione del contratto ex art. 1362 ss.gg.) o che può sfociare nella inesistenza del rischio assicurato (es. condotte causalmente scollegate dal danno come l’impossibilità originaria o sopravvenuta) grava esclusivamente sul contraente. Sempre in questa ipotesi, si ricorda l’orientamento granitico della giurisprudenza di legittimità che richiede al ricorrente di fornire la prova per cui l’interpretazione alternativa proposta sia l’unica possibile, indicando a pena di inammissibilità quali sono i canoni ermeneutici, nonché il punto ed il modo, da cui il Giudice si è distaccato.
La regola probatoria e di giudizio di cui all’art. 2697 c.c. ribalta invece l’onere della prova sull’Assicurazione nell’ipotesi in cui la clausola limitativa del rischio assicurato non sia riportata mediante caratteri di particolare evidenza. E qui, per il Cliente, basta ribaltare il ragionamento appena svolto, e, ad esempio, allegare almeno una interpretazione alternativa della clausola contestata per farla immediatamente scivolare nel burrone della opinabilità, della ambivalenza e, quindi, nella violazione dei sopracitati canoni della chiarezza e specificità che devono informare i contratti assicurativi ai sensi dell’art. 166 Codice delle Assicurazioni Private.